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mercoledì 26 dicembre 2018

La partita di Natale: quando il calcio sconfisse la guerra

Il 25 dicembre 1914 i soldati inglesi e tedeschi si incontrarono nella Terra di Nessuno per festeggiare insieme il Natale: ne nacque una partita di calcio. Senza regole. 

Alle primi luci dell’alba del 25 Dicembre 1914 Bruce Bairnsfather si svegliò. Si trovava in una località nelle Fiandre, di cui non riusciva mai a ricordare il nome esatto. La sua divisa era ormai un blocco di ghiaccio che gli opprimeva gambe e polmoni. Dovette impegnarsi con quelle poche energie che ancora conservava per non lasciarsi vincere dal freddo. Quando si fu alzato, sfinito, sempre attento a non far spuntare la testa oltre la trincea, fu il naso ad accorgersi per primo che quello sarebbe stato un giorno speciale. Bruce fiutò l’aria e, per la prima volta da settimane, la sentì pulita. Il tanfo insopportabile di putrefazione era sparito. Anche le orecchie, allora, si fecero attente e il giovane capitano inglese di un'unità del Royal Warwickshire Regiment finalmente non sentì nulla. Nessun grido di terrore, nessun fischio di proiettile, nessuna esplosione, nessuna mitragliatrice incessante. 

Bruce rimase immobile, confrontando la sua incredulità con quella degli altri uomini intorno a lui. Tutti lo guardavano, aspettando un suo segnale o almeno la rassicurazione che non fossero impazziti. Bruce scorgeva nei loro occhi la paura che quel silenzio e quel lindore fossero delle allucinazioni nate nelle loro teste per combattere la paura. Il capitano sapeva di dovere una risposta a suoi uomini, sapeva di doverli confortare, lui, più giovane di tanti altri, perché non si sentissero ancor più abbandonati. 

I soldati inglesi non potevano credere a quello che vedevano 

Afferrò il caschetto, lo poggiò sulla sua testa e, senza aggiungere niente che non avesse già fatto intendere con il suo sguardo, si voltò e sollevò gli occhi oltre la trincea. Per un istante, si sentì perso nell’oblio. Credette davvero di essere vittima di un miraggio, che forse anche il freddo poteva dare alla testa come il caldo, congelare le sinapsi e catapultare le persone nel mondo dell’impossibile. Perché esattamente lì credeva di essere il capitano Bruce, nell’impossibile. 

La Terra di Nessuno, così come avevano ribattezzato quella striscia di 50 metri che li divideva dalla trincea nemica dei tedeschi, era sgombra. I cadaveri che fino alla sera prima giacevano senza nessuna sepoltura non c’erano più. Dall’altro lato del fronte, sul bordo dei fossati in cui i soldati della Germania si nascondevano ormai da settimane, iniziarono ad apparire, una alla volta, delle fioche fiammelle, che in quella mattina senza sole e senza vento iniziarono a brillare irradiando l’aria. Prima una, poi un'altra, poi ancora molte, tutte insieme. I tedeschi continuarono ad accendere candele, e alcuni raggiunsero addirittura gli alberi intorno per addobbarli. Poi, una voce forte e scura intonò una melodia e subito molte altre la seguirono, dando vita a un coro che Bruce non avrebbe mai dimenticato. 

I tedeschi cantavano una canzone di Natale. 

Il capitano non dovette neanche voltarsi verso i suoi uomini, che erano giù tutti in piedi intorno a lui, senza elmetto, senza armi. Tutti, senza provare né il dovere né il bisogno di chiederne il permesso, risposero insieme a quel canto. Le due truppe nemiche intonarono la stessa melodia, quella Stille Nacht che nella versione inglese suona come Silent Night. 

I soldati inglesi e tedeschi uscirono dalle trincee, riversandosi nella Terra di Nessuno 

Per diversi minuti, che a Bruce sembrarono delle ore, i due fronti furono uniti da quel coro comune che, incessante, continuava a festeggiare il Natale in un luogo e in un momento in cui nessuno avrebbe mai sperato di trovare un calore come quello che si può provare nella propria casa. Fu proprio per questo che, dall’una e dall’altra parte, vennero gridate a squarciagola promesse di pace: nessuno voleva più sparare. Ancora intimoriti, ma spinti dalla fiducia, uno alla volta i soldati, inglesi e tedeschi, uscirono dalle loro trincee e mossero i primi passi nella Terra di Nessuno, gli uni verso gli altri. Si vennero incontro e a metà strada, si trovarono e si riconobbero, non più come rivali, non più come nemici da combattere, ma come simili con l’unico comune desiderio di trascorrere un Natale normale. Gli uomini, non più soldati, si abbracciarono anche se non si erano mai visti prima, se non nascosti dal fumo di un’esplosione o nel mirino di un fucile. Si promisero ancora di non fronteggiarsi e tutti si scambiarono regali con chi avevano affianco. Fotografie o sigarette, sorsi di rum e whiskey, addirittura bottoni della divisa: tutti erano pronti a offrire qualcosa al nuovo compagno. Per la prima volta, in quella landa gelata riecheggiò un suono che nessuno di loro sentiva da ormai troppo tempo: una grassa e fragorosa risata che contagiò tutti i presenti, aldilà del colore delle divisa. 

Fu proprio durante questi festeggiamenti che qualcuno calciò dal fondo della trincea inglese un pallone di stracci. Quello strano oggetto, lontano dall’essere sferico, rimbalzò tra i commilitoni senza che nessuno ebbe inizialmente il coraggio di toccarlo. Tutti lo fissavano, restando immobili, aspettando che il piede di chi avevano affianco si muovesse per primo, incapace di resistere alla tentazione di giocare. Gli occhi si sfidarono, le labbra si piegarono al sorriso, e bastò che un grosso tedesco più ubriaco degli altri colpisse di punta la palla scagliandola lontana, per iniziare l’inseguimento. Tutti corsero dietro a quel pallone di stracci, urlando di gioia come non facevano da quando erano bambini. Non ci furono squadre, né porte o limiti del campo, né tanto meno arbitri o regole: si poteva correre ovunque, tirare, calciare e inseguire la palla fino allo sfinimento. Spontaneamente gli uomini si schierarono con chi aveva la divisa dello stesso colore, ma due masse informi di giocatori, l’una da 50 titolari in campo e l’altra da 70, non possono essere considerate propriamente delle squadre. Tedeschi e inglesi continuarono a tirare quella palla da una parte all’altra della Terra di Nessuno fino a notte fonda, e qualcuno continuò anche quando ormai quelli stracci erano completamente infradiciati. La partita finì 3-2 per i tedeschi, o almeno così scrissero alcuni soldati nei loro diari.

sabato 15 dicembre 2018

Gaetano Scirea, il libero che sapeva attaccare (da "La Gazzetta dello Sport" dd. 12.12.2018)

GAETANO SCIREA, IL LIBERO CHE SAPEVA ATTACCARE!


Gli inizi in periferia, poi Atalanta, Juventus e Nazionale: tante vittorie, zero espulsioni e neppure una squalifica Scomparso tragicamente quasi 30 anni fa rimane il simbolo di un calcio senza odio Ecco come un padre lo racconta al figlio...

Pochi giorni fa la vigilia di Fiorentina-Juventus è stata turbata da un fatto lontano anni luce dallo sport: poco fuori la zona del prefiltraggio dello stadio Franchi è comparsa una scritta: "Heysel -39, Scirea brucia all’inferno". Uno sfregio alla memoria collettiva, un colpo al cuore per chi è cresciuto negli anni di Scirea. Ecco, proprio con la storia di Gai inauguriamo una rubrica per raccontare e far conoscere campioni (ed epoche) a chi non ha avuto la fortuna di viverli. Un papà che parla al figlio partendo da una figurina: scacco matto all’ignoranza.

L'uomo si fermò proprio davanti alla porta, prima di entrare guardò e riguardò la figurina che aveva tra le mani: per anni era stata custodita nel suo cassetto come una reliquia. Fece un bel respiro e poi mise la testa dentro la stanza. "Eccomi, Matteo. Stasera non ho un libro da leggerti, ma questa". Il bimbo sgranò gli occhi, mise a fuoco la figurina e fece una faccia strana. Poi esclamò con tutta la sincerità degli 8 anni appena compiuti. "Papà, è un giocatore della Juventus… Lo sai che non sono come te, io tifo Fiorentina". L’uomo si aspettava l’obiezione: aveva la risposta. "Certo che lo so, però stanotte voglio raccontarti la storia di un giocatore speciale, un simbolo per tutti: Gaetano Scirea. Era il mio idolo quando avevo la tua età".


DESTRO, SINISTRO INSIEME — "Cosa aveva di particolare questo Scirea?", domandò il bambino prima di accucciarsi tra le coperte. "Mi chiedi chi era Gaetano? Da dove partiamo... Ecco, trovato. Un giorno lontano il piccolo Gai, come lo chiamavano, se ne stava a palleggiare contro un muro. Sai, una volta non c’erano tanti campi: un bel muro era già una fortuna. Comunque, lui aveva più o meno 9 anni ed era lì, con un panino al salame tra le mani per merenda. Destro, sinistro, un morso. Destro, sinistro, un morso. Non sbagliava un colpo. Controllava pallone e panino con la stessa naturalezza. Spettacolo per un solo spettatore, di passaggio: Gianni Crimella, allenatore della Serenissima-S. Pio X di Cinisello Balsamo, un paese vicino a Milano. Crimella gli fece posto nella sua squadra di calcio a 7, lo schierò attaccante. Gaetano sognava la 10, quella indossata da Rivera e Suarez. I poster nella sua stanza. Ma da punta segnava un sacco di gol e quindi niente 10. Passano gli anni, le reti aumentano. Così l’allenatore gli procura un provino con l’Atalanta:ingaggiato. Da quel momento il piccolo Gai prese a frequentare la corriera per andare da Cinisello a Bergamo. Sempre. Anche quando il tempo era brutto e la nebbia gli nascondeva persino il balcone di casa. Non saltava un allenamento come il papà, siciliano trasferito al nord per trovare lavoro, non mancava un turno in fabbrica, alla Pirelli. Una vita di sacrifici e di valori da trasmettere ai figli. Gai aveva un fratello, Paolo. Pure lui giocava, ma gli mancava quel qualcosa che fa la differenza. E comunque c’è voluto un braccio rotto per dare seguito a questa storia".

L’ATALANTA E IL DEBUTTO IN A — "Come un braccio rotto, papà?". "Eh, sì. Proprio rotto. Vedi, Scirea con l’Atalanta aveva cambiato ruolo: la sua classe e il suo vedere il gioco prima degli altri, lo avevano portato a centrocampo, vicino al 10 che voleva. Ma siccome sapeva adattarsi alle richieste degli allenatori, aveva accettato di andare in difesa, a fare il libero". "Libero? Che ruolo è? Non esiste…", chiese Matteo. "Oggi non esiste, ma una volta era forse il ruolo più delicato dopo il portiere. Senti come suona bene libero. Voleva dire che quel calciatore non aveva un avversario da marcare come gli altri difensori, ma doveva aiutarli, chiudere ogni spazio, essere l’ultimo baluardo. Per farlo serviva intelligenza e senso tattico. Gai li aveva. E quindi ogni tanto aveva tappato un buco. Nel settembre 1972 l’Atalanta è in A, lui ha solo 19 anni: l’allenatore Giulio Corsini lo fa esordire contro il Cagliari di Gigi Riva, il più forte attaccante italiano. E lo mette libero, accanto allo stopper Antonio Percassi (ora è diventato il presidente dell’Atalanta), perché il titolare, Giancarlo Savoia, si era rotto un braccio. Finì 0-0 e Scirea divise il premio in denaro per quel pari con Savoia che gli aveva dato dei consigli nei giorni precedenti. Savoia dopo qualche gara si riprende il posto, Gai finisce in panchina. Ma per poco. La stagione seguente, in B, non molla più il campo. E siccome nel cuore si sente ancora un numero 10, trova il modo di esserlo anche da libero". "Come faceva, papà?". "Quando la sua squadra attaccava non restava a guardarli, ma diventava lui il primo attaccante. Usciva palla al piede dalla difesa, testa alta, pronto al lancio per un compagno. Proprio come lo vedi in questa figurina. E mica si fermava qui: continuava a correre, arrivando fino all’area avversaria, per segnare. Senza paura. Al massimo la paura veniva ai suoi allenatori: non erano abituati a vedere il libero dall’altra parte del campo. Ma era impossibile fermarlo e poi non gli conveniva perché Gai faceva la differenza. La Juve se ne accorse prima degli altri: l’acquistò. E presto scopri di aver comprato non solo un grande giocatore, ma pure un grandissimo uomo. Un esempio per tutti, anche per i bambini".

LA RISSA SEDATA A FIRENZE — "Come mai?", domandò Matteo. "Perché il calcio adesso è troppo urlato, i calciatori dimenticano che sono imitati in tutto e per tutto dai più piccoli. Si fanno creste, inventano esultanze, ma poi si perdono nelle cose più banali. Scirea in carriera non è stato mai espulso e mai squalificato. Capisci, eppure giocava in difesa. Aveva un rispetto sacro degli avversari, dell’arbitro e degli spettatori. E quindi niente entrate violenti, niente proteste, niente liti, niente parole fuori posto. Una volta, proprio in un Fiorentina-Juventus, i calciatori iniziarono a spingersi dopo un brutto fallo a centrocampo. Scirea raggiunse il gruppo dei rissosi e li fece sentire ridicoli dicendogli: 'Non vi vergognate? In tribuna ci sono le nostre mogli, i nostri figli e gli altri tifosi che ci stanno guardando'. Smisero di litigare all’istante. Perché Gai parlava poco, ma quando lo faceva…". "Papà, ma Scirea ha vinto qualcosa con la Juve?". «Qualcosa? Visto che ti piacciono i numeri, eccotene qualcuno: 7 scudetti, 2 Coppa Italia, una Coppa Campioni, la vecchia Champions, poi altri due trofei ora riuniti dall’Europa League, la Coppa Uefa e la Coppa delle Coppe. E ti assicuro che allora era molto difficile conquistarli. E poi la Supercoppa Uefa e quella Intercontinentale. Insomma, ha vinto tutto quello che c’era da vincere. Non solo, con la Juve ha disputato 563 partite ufficiali, segnando 24 gol in A. E ha trionfato sempre alla sua maniera, da libero in tutti i sensi. Anche se all’inizio della carriera chiedeva il permesso". Matteo s’incuriosì: "Il permesso a chi? Perché lo faceva?". "Era fatto così. E poi nella Juve c’era Dino Zoff, quel portiere che ti ho fatto vedere una volta in tv. Era il suo capitano, ma anche una specie di fratello maggiore. Gai, quando lasciava la difesa, temeva di procurargli qualche apprensione. E gli chiedeva il permesso. Fino a che, un giorno, Dino disse: 'Ascolta, Gaetano. Sali quando vuoi, mi fido'. Eh quei due, ad averli oggi in Nazionale. Ci hanno fatto piangere di gioia".

MONDIALE, IL DIPLOMA E... — "Quando è successo, pa’?". "Nel 1982, Mondiale in Spagna. Dicevano tutti che eravamo una squadra di bolliti. Che Bearzot, il c.t., non ci capiva nulla. Dicevano questo dopo le prime partite pareggiate, poi battiamo l’Argentina di Maradona e il Brasile di Zico, due fenomeni come oggi Messi e Ronaldo. Andiamo in finale e vinciamo 3-1 contro la Germania. Il gol di Tardelli, quello del 2-0, l’hai visto pure tu su internet. Ora rivedilo: guarda chi c’è in area…". "Quello è Scirea, vero?". "Esatto, vincevamo già 1-0, ma lui è lì a far male ai tedeschi. Prima un colpo di tacco e poi quello che oggi chiamate assist per Tardelli. Povero Tardelli: si mise a piangere come un bambino quando in tv annunciarono che Gai era morto». «Ma allora Scirea non è diventato vecchio…". "No, Matteo. Forse era un angelo caduto dal cielo. E lassù lo hanno rivoluto quando aveva solo 36 anni, il 3 settembre 1989. Anche quel giorno si era spinto lontano dalla sua area, stava in Polonia mandato dalla Juve per osservare il prossimo avversario di Coppa. Gai si era ritirato l’anno prima, faceva il vice allenatore di Zoff, il fratello maggiore. E nel 1987 aveva fatto in tempo a prendere il diploma magistrale: lo aveva promesso ai suoi genitori e a se stesso. Era fatto così. Pensa che in un’alba del 1975 non scese dalla macchina per andare a comprare i giornali che celebravano lo scudetto della Juve: davanti all’edicola c’erano gli operai del primo turno in fabbrica e a Gai non gli sembrava giusto farsi vedere vestito da festa da chi lavorava duro…". "Pa’, ma stai piangendo?". "A volte capita anche ai papà… Adesso dormi, Matteo". "Posso prima attaccare la figurina di Scirea accanto al poster di Davide Astori?". "Certo, è il posto giusto. Buonanotte, figlio mio. Buonanotte, Gai".

ASD CAMPAGNA - AVVOCATI PORDENONE

GARA RINVIATA AL 26/01/2019.

venerdì 14 dicembre 2018

ASD CAMPAGNA - AVVOCATI PORDENONE , Sabato 15/12/2018 ore 14,30.

Visto che mi riesce difficile diramare convocazioni tra infortuni,squalifiche e impegni personali chi è disponibile domani è convocato per le ore 13,30 presso il CAMPO SPORTIVO in Via dei Meassi 2
a CAMPAGNA DI MANIAGO.Vi prego cortesemente di confermare o meno la vostra disponibilità
il più celermente possibile . Grazie Silvano

martedì 4 dicembre 2018

AVVOCATI PN - G.S.R. ARZENE 0-5

AVVOCATI PN: Cornacchia, Marzona, Tomè, Luisa Vissat [C], Ciacci, De Paoli, Padovano, Ceolin, Fasan, Bernardi, Tirelli. A disposizione: Zanardo, Da Ros, Santarossa, Coan.

Sedrano (PN) - ...