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150 ANNI DI ESPERIENZA...
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Blog Ufficiale (rigorosamente umoristico!) della squadra di calcio degli Avvocati Pordenone
SEDRANO (PN) - I ramarri, nel loro amato "focolare casalingo" di Sedrano, conducono una vita serena e ricca di soddisfazioni: gran bel terreno per giocare palla a terra, spogliatoi puliti e confortevoli, tre vittorie su quattro gare, coda prolungata al chiosco fornitissimo di Gigi Sacilotto nel terzo tempo (quattro su quattro!). Peccato che presto torneranno i simpatici fanciulli delle giovanili del San Quirino, così che i neroverdi togati si troveranno nuovamente in mezzo ad una strada, ad elemosinare un campo su cui poter trascorrere un paio d’ore al sabato pomeriggio… Si potrebbe dire “Avvocati sfrattati, senza morosità!”; che si possa fare opposizione? La sfida di ieri ha ricalcato l’andamento di quella del sabato precedente, sia nel risultato che nella gestione della partita. I ramarri sono stati padroni del campo dall’inizio alla fine ed hanno condotto in porto una vittoria meritata e, per la verità, assai agevole, senza correre mai alcun serio rischio e mantenendo la porta immacolata. La “Banda Grigo-Pollini” indirizza subito la gara sul binario giusto passando in vantaggio dopo pochi minuti dal fischio d’inizio con un gol di rapina di Vicenzotto. Il raddoppio giunge a metà tempo con Tirelli che, ricevuta palla in area dopo una serpentina vincente di Vicenzotto, controlla e con un sinistro rasoterra spedisce la sfera
nell’angolo più lontano. Si va così al riposo con un confortante doppio vantaggio. Nella ripresa, caratterizzata per la miriade di fuorigioco fischiati (a prescindere!) dal direttore di gara, si annotano la terza segnatura ancora ad opera di Tirelli con un sinistro non potente ma velenoso (i detrattori del nostro “Giorgione” parlano di “ciabattata”!) che si insacca a fil di palo e qualche bella giocata dei naoniani che fanno girare palla di prima. Purtroppo c’è tempo anche per assistere alla monumentale palla-gol divorata dall’astinente Tatanka che a pochi passi dalla porta spalancata, concentrato nel ricercare la posa più adatta per farsi immortalare nell’atto supremo, si scorda di concludere a rete e viene stoppato dal difensore avversario, sopraggiunto dopo essere stato allertato da un tempestivo telegramma del suo allenatore («Scultura in bronzo di anziano calciatore all’interno nostra area, nei pressi del pallone. Stop. Pericolo per incolumità del portiere. Stop. Opportuno rimuoverla. Stop».). L’unico vero momento di apprensione in casa neroverde si registra al chiosco a fine gara, con l’inaspettato annuncio che giunge da dietro il banco: «Il fusto della birra è finito!». Attimi di tensione con gli sguardi in cagnesco dei compagni rivolti al generoso Sarcinelli, uscito anzi tempo dalla tenzone e notoriamente riluttante al thè caldo, ma poi tutto si sistema: birra in bottiglia e, a seguire, secondo fusto… Tutto è bene quel che finisce bene…
L'anno era il 1966, giocavo nelle giovanili dell'Audace San Michele, squadra del sobborgo di Verona, dove mosse i primi passi Mariolino Corso, mitica ala sinistra dell'Inter di Helenio Herrera, l'unico giorno libero che avevo era il mercoledì e regolarmente andavo a vedere l'allenamento dell'Hellas, mia grande passione che tutt'ora mi coinvolge. Il rituale era sempre lo stesso: fuori da scuola di corsa, pranzo al salto, filobus n°1 fino a Piazza Bra, a piedi fino in Piazza Cittadella dove tra i condomini c'era il vecchio stadio Bentegodi, sempre stesso posto, un pò defilato, vicino alla bandierina del calcio d'angolo, dal lato spogliatoi, in modo da vedere da vicino i giocatori che uscivano. «Ciao bocia», abituato a vedermi lì, mi salutava così Omero Tognon allenatore dell'Hellas, con semplicità senza che i due scudetti vinti con il Milan o le 14 presenze in nazionale facessero da muro tra me e lui. «Come va Mister?» gli chiedevo e lui di rimando «Se lotta» e si avviava verso il campo dove aspettava i suoi giocatori. Li aspettava sempre lui, mai che uno di loro avesse avuto la possibilità di uscire prima, poi via allenamento serrato senza fronzoli o chiacchiere, senza dubbio era un leader, il capo era lui e i suoi giocatori l'avevano capito tanto che si facevano trascinare da balzi ripetute ed esercizi vari. Anche quando riprendeva Bonatti, talentuoso trequartista dell'Hellas,
di calcio seduti sui gradini di casa sua, fatto di aneddoti e consigli che per me acerbo allenatore erano manna dal cielo. Anche mio figlio, tanto era il suo carisma, lo chiamava “il Capo” e quando ogni tanto lo veniva a vedere, lui era il più felice della terra nel sentirsi oggetto di tanta attenzione. Mi coinvolse anche nella sua avventura a Caneva, squadra in seconda categoria in piena zona retrocessione, li ho imparato che tutto deve essere professionale nei dilettanti, non professionistico, raggiungendo una salvezza insperata giocando anche un buon
calcio. Con me era particolarmente puntiglioso e questo mi è servito anche nella vita, niente al caso “bocia”, ogni particolare era importante, il bello è che lo avevano capito sia i giocatori che tutti i dirigenti, e fecero carte false per trattenerlo. Il richiamo di insegnar calcio era più forte di tutto e subito accettò la proposta del Fontanafredda di ricostruire un settore giovanile che non dava i risultati sperati. Ben presto la mano del “Capo” diede i suoi frutti, ne sanno qualcosa i vari Locatelli, Rossitto, Lorenzini, ecc. Due erano i giocatori, a parte i professionisti, che lo avevano impressionato al punto di parlar di loro quasi giornalmente: Maurizio Mazzon detto Micio «El pol far el profesionista quando el vol, ma el ga na testa de casso che neanche i porsei la magna!»; Micio non lo ascoltò mai e ne pagò le conseguenze. L'altro era Fabio Rossitto. Il primo giorno che lo allenò capì subito dove poteva arrivare e Fabio fu tanto riconoscente con lui che il giorno del suo funerale, poco prima che lo chiudessero, mise sulle mani di Omero la sua maglia bianconera dell'Udinese. Anche nella sua malattia fu sereno e forte: «Se lotta anca qua bocia, ma non so se ghe la fasso», aveva già capito che era al capolinea.
hella, non offre grandi sussulti (anche se Cornacchia si guadagna il pane esibendo la consueta efficienza). Prima della chiusura il dessert del 4-0 sembrava già cosa fatta, ma un inaspettato rigurgito dell'affamato Tatanka Celano ne vanifica l'assaggio: solo di fronte al carrello dei dolci (in assenza del personale di sala), viene tradito dalla fame e, abbandonate le posate, propende per il tiro alla quaglia impallinando a brucia pelo l'ormai rassegnato portiere americano, con la sfera che carambola poi sul palo e si rifiuta cosapevolmente di entrare in rete. Poi tutti sotto la doccia calda a commentare il lauto bottino con grande soddisfazione. Si conclude infine con un terzo tempo altrettanto appagante: tutti a teatro, con birra e patatine a go-go, ad ammirare Madre Natura che si esibisce in uno spettacolare e prolungato tramonto invernale dalle tinte infuocate, che regala momenti di puro romanticismo... burp!
lenamento è un optional e non si sa mai quando cominciare o meno.