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mercoledì 24 dicembre 2014

STORIE DI CALCIO – Leo, il più grande di tutti... (di Locorotondo Production)


Lo incontro negli spogliatoi del Camp Nou di Barcellona, uno stadio enorme, il terzo più grande del mondo. Dagli spalti lui è una macchiolina, incontrollabile e velocissima. Da vicino è un ragazzo mingherlino ma sodo, timidissimo, parla quasi sussurrando una cantilena argentina, il viso dolce e pulito senza un filo di barba. Lionel Messi è il più piccolo campione di calcio vivente. “La Pulga”, la pulce, è il suo soprannome. Ha la statura e il corpo di un bambino. Fu infatti da bambino, intorno ai dieci anni, che Lionel Messi smise di crescere. Le gambe degli altri si allungavano, le mani pure, la voce cambiava. E Leo restava piccolo. Qualcosa non andava e le analisi lo confermarono: l'ormone della crescita era inibito. Messi era affetto da una rara forma di nanismo. Con l'ormone della crescita, si bloccò tutto. E nascondere il problema era impossibile. Tra gli amici, nel campetto di calcio, tutti si accorgono che Lionel si è fermato: "Ero sempre il più piccolo di tutti, qualunque cosa facessi, ovunque andassi". Dicono proprio così: "Lionel si è fermato". Come se fosse rimasto indietro, da qualche parte.
Leo, nato nei sobborghi di Rosario il 24 giugno 1987, approda molto giovane sui campi di calcio della sua città natale, mostrando un talento e una velocità fuori dal comune. Gioca prima per il Grandoli, piccola scuola calcio della periferia di Rosario allenata dallo stesso padre del giovane fenomeno, e poi per i Newell's Old Boys. Anche il River Plate, squadra più blasonata d’Argentina insieme al Boca Juniors, si fa avanti per l’acquisto di Leo; i Milionarios però non sono convinti dell’esplosione futura del giovane funambolo e, vista anche la crisi economica che imperversa nel paese, decidono di non puntare sul giovane fenomeno e di non farsi carico delle spese mediche necessarie per sopperire all’insufficiente apporto di Somatotropina; l’affare sfuma.
A undici anni, un metro e quaranta scarsi, gli va larga la maglietta. Balla nei pantaloncini enormi, nelle scarpe, per quanto stretti i lacci, un po' ciabatta. È un giocatore fenomenale: però nel corpo di un bimbetto di otto anni, non di un adolescente. Proprio nell'età in cui, intravedendo un futuro, ci sarebbe da far crescere un talento, la crescita primaria, quella di braccia, busto e gambe, si arresta. Per Messi è la fine della speranza che nutre in se stesso dal suo primissimo debutto su un campo da calcio, a cinque anni. Sente che con la crescita è finita anche ogni possibilità di diventare ciò che sogna. I medici però si accorgono che il suo deficit può essere transitorio, se contrastato in tempo. L'unico modo per cercare di intervenire è una terapia a base dell'ormone "gh": anni e anni di continuo bombardamento che gli permettano di recuperare i centimetri necessari per fronteggiare i colossi del calcio moderno. Si tratta di una cura molto costosa che la famiglia non può permettersi: siringhe da cinquecento euro l'una, da fare tutti i giorni. Giocare a pallone per poter crescere, crescere per poter giocare: questa diviene d'ora in avanti l'unica strada. Lionel, un modo di guarire che non riguardi la passione della sua vita, il calcio, non riesce nemmeno a immaginarlo. Ma quelle dannate cure potrà permettersele solo se un club di un certo livello lo prende sotto le sue ali e gliele paga. E l'Argentina sta sprofondando nella devastante crisi economica; in quella situazione, nessuna società argentina, pur intuendo il talento del piccolo Messi, se la sente di accollarsi i costi di una simile scommessa. Non avendo la possibilità economica per farsi carico delle spese della terapia, il padre Jorge, convinto del fatto che suo figlio sia un talento destinato ad esplodere, cerca incessantemente una squadra o un modo per riuscire a garantire al piccolo Leo le giuste cure. Non riuscendo a trovare nessuna squadra Argentina disposta a farsi carico delle cure mediche, Jorge inizia a rivolgersi anche ad alcune fondazioni umanitarie.
Nonostante il divario fisico con i suoi coetanei, Leo non si ferma, continua a calcare i campi delle periferie di Rosario, sopperendo al divario fisico con una velocità e una tecnica che i ragazzini della sua età si sognano. Ed è proprio durante una di queste partite che il destino della Piccola Pulce prende una piega inaspettata.
Viste le incessanti voci arrivate alle orecchie di Carles Rexach, direttore sportivo del Barcellona, di questo bambino prodigio in grado di scartare da solo un’intera squadra di suoi coetanei, decide di recarsi ad una partita delle giovanili del Newell’s Old Boys. Nella vita dei calciatori gli osservatori sono tutto. Ogni partita che guardano, ogni punizione che considerano eseguita in modo perfetto, ogni ragazzino che decidono di seguire, ogni padre con cui vanno a parlare, significa tracciare un destino. Ma nel caso di Messi, ciò che gli viene offerto, rappresenta molto di più: non gli viene data solo l'opportunità di diventare un calciatore, ma la possibilità di guarire, di avere davanti una vita normale. "Ci vollero cinque minuti per capire che era un predestinato. In un attimo fu evidente quanto quel ragazzo fosse speciale", le parole di Carles Rexach. Rexach vuole fermarlo subito e così fanno un primo contratto su un fazzoletto di carta, un tovagliolo da bar aperto. Firmano lui e il padre della pulce. Quel fazzoletto è ciò che cambierà la vita a Lionel. Il Barcellona ci crede in quell'eterno bimbo. Decide di investire nella cura del maledetto ormone che si è inceppato. Ma per curarsi, Lionel deve trasferirsi in Spagna con tutta la famiglia, che insieme a lui lascia Rosario senza documenti, senza lavoro, fidandosi di un contratto stilato su un tovagliolo, sperando che dentro a quel corpo infantile possa esserci davvero il futuro di tutti. Dal 2000, per tre anni, la società garantisce a Messi l'assistenza medica necessaria. Crede che un ragazzino disposto a giocare a calcio per salvarsi da una vita d'inferno abbia dentro il carburante raro che ti fa arrivare ovunque. Le cure però spezzano in due. Hai sempre nausea, vomiti anche l'anima. I peli in faccia che non ti crescono. Poi i muscoli te li senti scoppiare dentro, le ossa crepare. Tutto ti si allunga, si dilata in pochi mesi, un tempo che avrebbe dovuto invece essere di anni. Messi però non lascia trasparire niente, sa che con i suoi sacrifici può salvare tutta la sua famiglia. "Non potevo permettermi di sentire dolore", dice Messi, "non potevo permettermi di mostrarlo davanti al mio nuovo club. Perché a loro dovevo tutto". La differenza tra chi il proprio talento lo spende per realizzarsi e chi su di esso si gioca tutto è abissale.
Sono tre anni lunghissimi, tre anni di terapie e allenamenti; allenamenti in cui non puoi mostrare mai le tue fragilità perché la paura di poter buttare al vento i sacrifici tuoi e della tua famiglia ti attanagliano. Con la sua incredibile forza e con l'aiuto dei suoi compagni di squadra Leo cresce, sia fisicamente che tecnicamente; anno dopo anno, centimetro dopo centimetro spremuto dai muscoli, levigato nelle ossa. Ogni centimetro acquisito una sofferenza. Brucia le tappe, passando dall’Infantil B ai Cadete A nel giro di pochi mesi. Ormai con i pari età non c’è storia, Leo segna 37 goal in 30 partite, è incontenibile. Nella stagione 2003/2004 fa già parte del Barcellona B, ed è tenuto sotto controllo dall’occhio vigile di Frank Rijkaard, allenatore della prima squadra. Dopo solo 22 presenze in Segunda Division arriva la prima convocazione in prima Squadra; Leo esordisce a soli 16 anni, nella stagione 2004/2005, in un derby contro l’Espanyol al fianco di giocatori come Ronaldinho, Puyol, e dei giovani Xavi ed Iniesta. Tutti i sacrifici ormai sono alle spalle, il sogno è diventato realtà; a soli 17 anni compiuti, dalla stagione 2005/2006, Leo entra in pianta stabile nella rosa del Barcellona.
Quando le squadre sono in riga prima del fischio iniziale, l'occhio inquadra tutte le teste dei giocatori più o meno alla stessa altezza, mentre per trovare quella di Messi deve scendere almeno al livello delle spalle dei compagni. Per uno sport dove conta sempre più la potenza, Lionel continua a somigliare pericolosamente a una pulce. Come dice Manuel Estiarte, il più forte pallanuotista di tutti i tempi: "È vero, bisogna calcolare che le probabilità che Messi esca sconfitto da un impatto corpo a corpo sono elevate, come elevato è il rischio che venga totalmente travolto dai difensori. Ma solo a una condizione... prima devono riuscire a raggiungerlo". E infatti nessuno riesce a stargli dietro. Il baricentro è basso, i difensori lo contrastano, ma lui non cade, né si sposta. Continua a tenere la corsa, rimbalza palla al piede, non si ferma, dribbla, scavalca, sguscia, fugge, finta. È imprendibile. Leo è velocissimo, sfreccia via con i suoi piedi piccoli che sembrano mani per come riesce a tener palla, a controllarne ogni movimento. Per le sue finte, gli avversari inciampano nell'ingombro inutile dei loro piedi numero quarantacinque.
Vedere Messi significa osservare qualcosa che va oltre il calcio e coincide con la bellezza stessa. Sembra impossibile ma Messi quando gioca ha in testa le giocate di Maradona. Il capolavoro che Diego Armando aveva realizzato il 22 giugno 1986 in Messico, il gol votato il migliore del secolo, Lionel riesce a ripeterlo pressoché identico e quasi esattamente vent'anni dopo, il 18 aprile 2007, a Barcellona. Pure Leo parte da una sessantina di metri dalla porta, anche lui scarta in un'unica corsa due centrocampisti, poi accelera verso l'aria di rigore, dove uno degli avversari che aveva superato cerca di buttarlo giù, ma non ci riesce. Si accalcano intorno a Messi tre difensori, e invece di mirare alla porta, lui sguscia via sulla destra, scarta il portiere e un altro giocatore... E va in gol. Dopo aver segnato, c'è una scena incredibile coi giocatori del Barcellona pietrificati, con le mani sulla testa, si guardano intorno come a non credere che fosse possibile ancora assistere a un gol del genere. Tutti pensavano che un uomo solo fosse capace di tanto. Ma non è stato così.
Lionel appare il contrario di come ti aspetti un giocatore: non è sicuro di sé, non usa le solite frasi che gli consigliano di dire, si fa rosso e fissa i piedi, o si mette a rosicchiare le unghie dell'indice e del pollice avvicinandole alle labbra quando non sa che dire e sta pensando. Ma la storia della Pulce è ancora più straordinaria. La storia di Lionel Messi è come la leggenda del calabrone. Si dice che il calabrone non potrebbe volare perché il peso del suo corpo è sproporzionato alla portanza delle sue ali. Ma il calabrone non lo sa e vola. Messi con quel suo corpicino, con quei suoi piedi piccoli, quelle gambette, il piccolo busto, tutti i suoi problemi di crescita, non potrebbe giocare nel calcio moderno tutto muscoli, massa e potenza. Solo che Messi non lo sa. Ed è per questo che è il più grande di tutti.
(attinto anche da Roberto Saviano, 15 febbraio 2009)
 
Lionel Andrés Messi Cuccittini, detto Leo (Rosario, 24 giugno 1987)
Squadre di club
2003-2004
Barcellona C
10 (5)
2004-2005
Barcellona B
22 (6)
2004-...
Barcellona
293 (258)
Nazionale
2005
2008
2005-...
Argentina U-20
Argentina olimpica
Argentina
18 (14)
5 (2)
97 (45)
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BUON NATALE A TUTTI!!!
 

8 commenti:

enrico iodice ha detto...

Tanti auguri a tutti, compagni, amici, lettori e...

Ugè ha detto...

Bel post, Mr. Blogger!

Tanti auguri a tutti!

Concludo come da tradizzzione cor zolito augurio romanesco:

E' Natale, state bboni,

nun rompete li cojoni !

il Gobbo ha detto...

Buon Natale....baloneri!!!

Anonimo ha detto...

El mas grande desde todos los tiempos y
Blogger espectacular.
Abrazo a todos y ... Que 2015 teme so en frente!

Anonimo ha detto...

... tenemos en frente!

Anonimo ha detto...

http://messaggeroveneto.gelocal.it/sport/2014/12/27/news/d-aronco-del-sedrano-nella-lista-dei-bomber-grazie-alla-prova-tv-1.10564075

Enri ti hanno usato per la prova tv! Meglio di cesari!!
Pf

enrico iodice ha detto...

Grazie mille per la segnalazione PF!!!
Il nostro Blog entra nel futuro...

maglie calcio 2018 ha detto...

Messi è il miglior giocatore di calcio del mondo.