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sabato 25 dicembre 2010

La historia que pudo ser! (di "Locorotondo Production")

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PORDENONE – Cari Amici, sembra che per il giorno di Natale si stia consolidando una gradevole tradizione: un "pezzo romantico" a sfondo calcistico regalato ai lettori, passeggiando tra le pagine di qualche libro, tra realtà e finzione. Questa volta abbiamo voluto celebrare una "persona a caso" ed abbiamo chiesto di farlo ad una "squadra inedita": eccovi allora un marchio nuovo, sconosciuto, per la gioia di chi ama i libri, di chi ama leggerli e di chi ama pigramente farseli raccontare, gustandone bocconi succulenti, un marchio che speriamo di poter incontrare nuovamente (o magari spesso...) sul nostro Blog. Buona lettura e... BUON NATALE!!! In tempi non proprio recenti, quando iniziai a militare con i “più grandi”, il caro e compianto “libero” prematuramente scomparso che molto (non di calcio) mi insegnò, Franco Zucchet, soleva dire - accingendosi a calciare una punizione in prossimità della porta avversaria - «Ghe dago de tango». Non so se fosse un “provincialismo” di ciò che già nell’Argentina degli anni ’30, con il cinema sonoro, iniziava a muovere i primi passi quando Luis Mandrini con "Los tres berretines", metteva al centro dell’opera tre passioni popolari: il tango, il calcio e la radio. Non so se l’origine fosse la stessa, ma il connubio resta. E ancora, a testimoniare un legame tra le due “arti”, Paolo Conte, in riferimento all’evoluzione del calcio moderno, dice: «Il football moderno è molto più veloce di quello del passato, dovremmo concludere che una partita di oggi ha più ritmo di una partita di calcio classico. Ma non è così: velocità e ritmo sono cose diverse, parola di musicista». Ecco, ancora una volta il ritmo. Una sorta di musicalità sempre presente. E da altre fonti: «Giocavano a palla da ragazzini e non immaginavano di danzare. Non sapevano che esistesse la Scala, l'Opera, il Covent Garden: a loro bastava giocare in strada, correre, lottare cercando di non farsi carpire la palla. Poi, gradatamente, realtà e sogno si sovrappongono: resta l'estro e resta il ritmo, il samba, per esempio, ubriacare gli avversari prima di infilare il pallone in rete di sinistro». Sono gli anni ’60, fatti di strade non tutte ancora asfaltate (ma neppure oggi lo sono!) e di autovetture di formula uno che non arrivano a 200 km orari, il computer, il cellulare e molti altri strumenti oggi normali, non erano neppure immaginabili. E’ il tempo delle radio private che, per ovviare al divieto di trasmettere, in Inghilterra, posizionano navi in acque nei mari del Nord e lanciano brani memorabili (chi non lo ha visto, noleggi “I love Radio rock”, una commedia brillante su quel fenomeno e quel tempo: una colonna sonora da brivido). E’ l’epoca di un calcio, esistito veramente, il cui insegnamento era la-palla-arriva-stopparla-di-petto-mettere-a-terra-guardare-e-passare (che oggi riduce sempre più i tempi delle fasi fino ad annullarle), il possesso di palla non lo calcolava nessuno, di un tiro molto forte si diceva "che cannonata" mentre oggi se ne calcola la velocità (credo fossero famosi, in questo senso, i tiri di Gigi Riva e quelli di Eder, il brasiliano), la serie delle Figurine Panini erano un must, chi batteva una rimessa laterale o un corner doveva stare molto attento a schivare gli spettatori. Un tempo in cui i numeri erano definiti: il ”7” faceva l’ala destra e l'”11” la sinistra e non era necessario seguire l’estro di sport d’oltremanica che probabilmente hanno dato il via a improbabili progressioni numeriche rappresentati sulle magliette; e i “nomi”? Che vezzo i nomi sulle spalle. Ma che bellezza quando gli eroi erano noti senz’altro che se stessi nelle sgranate immagini del bianconero dei tubi catodici! I Beatles e i Rolling Stones, dividevano i fans tanto quanto le milanesi dei derby… A quell'epoca una storia di calcio "che avrebbe potuto essere", ma che non è stata... Una delle tante, si potrebbe dire, ma che a noi è particolarmente cara. Tutto era oramai deciso: quel talento pordenonese che militava nel Conegliano, era pronto ad indossare la prestigiosa casacca giallorossa della squadra della capitale (qualcuno ci insegna che: «A Roma ce stà 'na squadra sola!», non ce ne vogliano i laziali, il tifo è tifo). L'orgoglio locale stentava ad essere contenuto: «Atu vist? Legi la Gaseta! Toni l'è 'ndà a la Roma! Te 'o dita che no l'era una bala!». Quell'attaccante era uno di quelli che ogni difensore pregava di non incontrare: forte fisicamente, (quasi ambi) destro naturale, implacabile nel gioco aereo, determinato e persino cattivo all'occorrenza, ma soprattutto spietato sotto porta! Poteva anche essere il peggiore in campo per tutta la gara, ma bastava un solo lampo, un colpo letale, la palla finiva tra le maglie della rete e tutto era deciso. Chiedete pure a quei baldi e prestanti difensori che calcavano i prati verdi del Veneto nei tempi che furono, che cosa gli si muoveva nello stomaco quando l'allenatore, con uno sguardo che significava tutto, diceva loro: «Ti te marchi Polìni!». Dopo aver sofferto le pene dell'inferno per un'ora e mezza, lottando alla morte su ogni pallone, soccombevi e finivi anche la gara malconcio... Lui, tifoso della "Vecchia Signora", era pronto ad affrontare l'avventura del Calcio che conta, pronto ad incrociare i tacchetti con i suoi beniamini, conosciuti ed ammirati fino ad allora solo attraverso le profumate ed indimenticabili figurine. Poi succede quel che non ti aspetti e, per ragioni tutt’ora incomprensibili, la Roma abbandonava uno dei migliori talenti di quel periodo di cui, accorti e preparati giornalisti, così scrivevano: «Compassato ed armonioso, limpido come una lama. Abituati a vivere come bruti, tifosi, allenatori e dirigenti riscoprivano il tocco di classe. Pollini era il massimo dell'eleganza, della padronanza dello stile. Non c'era discussione su di lui che non terminasse in un elogio condiviso da tutti sulla misura e sull'efficacia di ogni suo movimento. Perché, ecco il punto, la sapienza dell'artista del tip-tap a ritmo perfetto, quand'anche colpiva di testa, non spostava un solo capello. Pollini aveva, per giunta, un qualcosa di ieratico e di spirituale. La canizza lo stringeva dappresso abbaiando e lui la teneva a bada, vi scivolava dentro, la beffava con un passaggio, un tiro, un amabile tocco di tacco. Me lo mangiavo durante gli allenamenti: pigliava la palla con la stessa trepidazione e voluttà di un bambino che riceve la pappa dal cucchiaio della mamma. Restituiva la palla con la grazia di un maggiordomo che porta un messaggio sul vassoio». Che tempra forte quel giovane con la patente da "centravanti vero", che grande temperamento sin da fanciullo! Si narra che durante una partita di allenamento al sambodromo de "El Pequino publo de los enfates", passato poi alla storia come Villaggio del Fanciullo, siccome non gli passavano mai la palla, Pollini alla prima occasione la raccolse tra le braccia e senza indecisione alcuna si diresse verso la vettura dicendo: «Ioken, la palla è mia e me la porto via!!!». Come si usa dire: genio e sregolatezza. Erano anni in cui davvero buongiorno voleva dire buongiorno. E celibi e ammogliati erano sfide piuttosto serie! Che dire: viva il Re! E, parafrasando Nereo Rocco: non auguri di Natale ma bicchieri di vino rosso! Locorotondo Production
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7 commenti:

koala ha detto...

La foto del giovane pollinigson che stacca di testa mi ricorda un certo roberto bettega che oggi compie 60 anni...

koala ha detto...

Trovo scandaloso che nessuno commenti l'articolo...questo era veramente un cavallo di razza...

Anonimo ha detto...

Chapeau alla LocoRotondoProduction e a Pollingston. Narrano le leggende che la passione per il diritto del giovane Pollingston fosse nata proprio nel corso di alcune partitelle al "Pequino publo de los infantes" (oggi Villaggio del Fanciullo), quando ebbe una tenzone giuridica con la Curia sulla proprietà del campo...

PS secondo me i pochi commenti sono dovuti al fatto che il blog è la scusa per non lavorare in ufficio ;-) ...e molti colleghi non sono in ufficio!!!

P8

ugè ha detto...

Pur essendo in ferie transito in ufficio e lascio il mio commento.

L'articolo (immagino chi possa esserne l'autore, lo stile e le citazioni sono un vero marchio di fabbrica) è bellissimo, un mirabile concentrato di ironia, fantasia, poesia e verità.

Le foto sono delle chicche e fanno comprendere perché quell'Uomo si alteri leggermente quando qualcuno di noi si mangi un gol, soprattutto di testa (quanto ci farebbe comodo uno così, o anche solo uno la metà di così).

enrico iodice ha detto...

Grande intenditore il Koala!
Io sono cresciuto ammirando estasiato le incornate dell'unico ed inimitabile "Bobby-gol", uno dei giocatori più eleganti che abbia mai visto in vita mia...
Pollini (juventino!) ha di che esserne lusingato...

ugè ha detto...

Oggi il blog è in prima pagina sul Gazzettino - cronaca locale!!!!....

Cornix ha detto...

Il blog comincia ad avere una sua storia. E questo è semplicemente uno dei pezzi più belli nella storia del blog.